Poeta italiano. Di modeste origini, da bambino fu condotto a Milano per
frequentare una scuola retta da preti barnabiti, e fu qui affidato a una prozia
benestante. Alla morte di questa,
P. si piegò alla disposizione
testamentaria che gli assegnava una piccola rendita purché abbracciasse
la carriera ecclesiastica; nel 1754 fu così ordinato prete, sottostando a
una consuetudine diffusa a quel tempo presso quanti, di estrazione sociale
popolare, volessero coltivare gli studi e porsi al riparo dalla povertà.
Due anni prima
P. aveva pubblicato la raccolta
Alcune poesie di Ripano
Eupilino, versi ispirati ai modelli dell'Arcadia che, tuttavia, per la
padronanza stilistica e linguistica che rivelavano, gli valsero molti e
importanti elogi e gli permisero di entrare a far parte dell'Accademia dei
Trasformati, un cenacolo letterario di tendenze progressiste, fino allora
composto di soli nobili. Subito dopo l'ordinazione sacerdotale,
P.
entrò come precettore di casa Serbelloni e vi rimase fino al 1762, quando
venne licenziato per aver preso le difese di una giovane schiaffeggiata dalla
duchessa Serbelloni. Questo periodo fu determinante per
P., perché
gli consentì di frequentare e conoscere da vicino l'aristocrazia del
tempo, fornendogli la vasta e straordinaria materia della sua opera più
importante,
Il Giorno, di cui pubblicò la prima parte,
Il
Mattino, nel 1763 e la seconda,
Il Mezzogiorno, nel 1765. La
pubblicazione dei poemetti procurò all'autore un immediato successo e lo
liberò definitivamente dalle condizioni di bisogno in cui versava dal
licenziamento da casa Serbelloni. Il potente conte Firmian, plenipotenziario del
Governo austriaco in Lombardia, chiamò il poeta a ricoprire l'incarico di
insegnante di eloquenza presso le Scuole Palatine. Nel clima riformatore
favorito dall'imperatrice Maria Teresa d'Austria, l'opera di
P. conobbe
un rinnovato e accresciuto prestigio in campo educativo: gli fu affidato il
compito di stendere gli statuti dell'Accademia di belle arti e, nel 1791, fu
nominato sovrintendente delle scuole pubbliche. Critico, anche se non ostile,
nei confronti della Rivoluzione francese, dopo l'entrata dei Francesi a Milano
nel 1796 il poeta aderì in un primo tempo al nuovo regime napoleonico, ma
se ne ritirò allorché comprese che il Governo fantoccio imposto
dai Francesi era solo una nuova forma di dispotismo demagogico, senza alcuna
forza per instaurare una reale autonomia politico-amministrativa nella
Cisalpina.
P. morì nel 1799, lo stesso giorno in cui, dopo il
ritorno degli Austriaci a Milano, ebbe composto il sonetto
Predaro i
Filistei, di ammonimento verso l'occupante straniero. La fama letteraria di
P. è legata alla composizione del
Giorno e delle
Odi. Della prima opera, dopo
Il Mattino e
Il Mezzogiorno,
apparvero i poemetti
Il Vespro e
La Notte, pubblicati postumi nel
1801. Il
Giorno, composto in endecasillabi sciolti, descrive personaggi e
situazioni dell'aristocrazia settecentesca milanese, seguendo le tappe della
vita quotidiana di un fatuo "giovin signore", cioè di un esponente tipico
di quella classe. L'intento di critica sociale - attuato attraverso l'impiego
della satira - è, particolarmente nelle prime due parti, assai forte e
trae la sua virulenza dalla constatazione dell'ingiustizia dei privilegi di
casta, concetto condiviso dalla cerchia degli illuministi lombardi (come i
fratelli Verri e Cesare Beccaria). La vocazione riformatrice di questi
intellettuali rifletteva tuttavia anche le contraddizioni dell'ambiente
economico, sociale e civile nel quale era maturata. A differenza di quella
francese, infatti, l'esperienza lombarda non si riferiva alla borghesia come
alla nuova classe sociale ed economica in ascesa e che avrebbe conquistato il
potere con un atto rivoluzionario; si richiamava all'assolutismo illuminato
dalla Monarchia austriaca, che finì invece con il disattendere le istanze
rinnovatrici degli intellettuali lombardi, in particolare le loro aspirazioni
autonomistiche. Ciò determinò un ripiegamento dell'impegno
politico del movimento riformatore e un distacco dei suoi esponenti dalla
partecipazione diretta nella vita sociale. Per ciò che riguarda
P., le seconde due parti del
Giorno segnano il passaggio dalla
polemica sociale a un moralismo astratto, privo di interessi e di intenti
"civili", interpretato da alcuni come un esaurimento dell'originario slancio
illuministico, con il conseguente prevalere delle ragioni della letteratura su
quelle dell'impegno. Il poeta sembra qui voler piuttosto affermare il segno
della propria dignità individuale di uomo e di intellettuale rispetto
alla corruzione e al parassitismo di certi ambienti aristocratici. Questo
passaggio ideologico può essere evidenziato anche dall'esame stilistico
dell'opera. I motivi di rappresentazione realistica delle due prime sezioni
vengono infatti fortemente ridimensionati ne
Il Vespro e ne
La
Notte, a vantaggio di quel Classicismo che è alla base delle
concezioni estetiche di tutta l'opera pariniana, anche se il concetto della
poesia come risvegliatrice di coscienze non viene mai meno. Del resto, fin
dall'inizio della sua attività poetica,
P. esplicitò
l'idea, di derivazione latina, di una poesia che doveva "giovare dilettando",
cioè essere strumento di impegno sociale e civile e veicolo di diffusione
di idee illuministiche attraverso una forma equilibrata e armoniosa, che si
rifacesse alla lezione del più rigoroso classicismo cinquecentesco. La
tensione civile è particolarmente evidente nelle prime delle 19 Odi,
composte tra il 1759 e il 1765 (
La salubrità dell'aria,
Il
bisogno,
L'innesto del vaiolo,
L'educazione,
La caduta)
che rivelano, insieme alla fiducia verso il progresso scientifico e tecnico,
un'attenzione verso gli aspetti concreti della vita collettiva. Nelle Odi
più tarde, scritte dal 1787 al 1795 (
Il pericolo,
Il dono,
Il messaggio,
A Silvia), si riscontra una sostanziale differenza
di contenuti e di toni, ispirati da una condizione psicologica condizionata dai
contemporanei avvenimenti storici che scuotevano la Francia. Infine, nell'ultima
ode,
La Musa (1795),
P. celebra la poesia come rifugio e
consolazione dalla miseria morale e dall'imbarbarimento politico (Bosisio, od.
Bosisio Parini, Como 1729 - Milano 1799).
Ritratto di Giuseppe Parini